“Quando i fiori avranno tempo per me” di Sara Gambazza

Titolo: Quando i fiori avranno tempo per me 
Autore: Sara Gambazza 
Casa Editrice: Longanesi Editore 
Collana: La Gaja scienza 
Data uscita: 10 Giugno 2025 
Pagine: 372 
Genere: Romanzo contemporaneo 

Il pianto di Ninfa si ruppe in singhiozzi. Lasciò cadere il grembiule guardando la margherita di carta che, attraverso le lacrime, sembrava più grande. Sentiva la testa vuota, i pensieri erano fuggiti via tutti insieme.
Eppure pesava tantissimo. […]
Ninfa si morse il labbro così forte da farlo sanguinare, ma le lacrime non ne volevano sapere di restare dentro gli occhi. Allora si accucciò, abbracciandosi le gambe e nascondendo il viso tra le ginocchia. Sarebbe stato bello scomparire un momento, chiudere la tristezza in una scatola e tornare con una faccia bella. Ma di sparire non era capace e una scatola per la tristezza non sapeva dove trovarla, perciò se ne stava lì, ad ascoltare i propri respiri spezzati e i sospiri di sua madre. Anita con un’ultima imprecazione, si sedette accanto alla sua creatura che pareva un uccellino così piccola e avvolta su sé stessa. Ne cercò il mento e lo sollevò baciandola in fronte. 
<<Ninì, lo so che sei intelligente… più di me, della Rosa e dell’Oltretorrente tutto. E vuoi sapere una cosa? M’era venuto da pensare che magari da grande diventavi un dottore e compravi una bella casa dove potevamo stare tutte insieme a far morire d’invidia la città intera. Ma le cose adesso vanno male… e io a scuola proprio non ti ci posso mandare…>>
Ninfa chiuse gli occhi perchè la sua mamma gentile, in qualche modo, le faceva più male di quella arrabbiata. 
Anita le asciugò le guance coi pollici. […] 
<<Brava, sorghetta, lo sapevo che capivi. Le cose andranno meglio, vedrai… E poi, chissà…sei così bella che magari un dottore te lo sposi.>>

Il libro è ambientato a Parma nel 1922 e racconta la storia di Anita e delle sue due figlie, Rosa e Ninfa. 
Anita vive nell’Oltretorrente, una zona estremamente povera, non ha un lavoro, non ha un marito, ma ha due figlie piccole: Rosa e Ninfa. 
Per il borgo, Anita è solo la Bórda, la puttana dell’Oltretorrente da evitare di giorno e cercare di notte. Ma Anita è molto di più, è una donna che ha dovuto crescere troppo in fretta, dopo la morte della madre, e che per sopravvivere alla fame e alla miseria ha iniziato a vendere il proprio corpo. 
Anita non è una madre come le altre, ma dietro al suo carattere forte, rigido, che la vita l’ha obbligata a crearsi, si nasconde un cuore morbido e l’amore per le sue due figlie. 
In molte occasioni, il lettore sarà partecipe di dialoghi pieni d’affetto, d’amore tra Anita e le sue due figlie, una mamma disposta a tutto per proteggere le sue figlie da un mondo che le giudica, le respinge senza pietà e umanità. 

<<Dona qualcosa alla causa. Fallo per me Anita bella.>> 
Lei fremette. 
Non per il gesto, né per le dita callose che le graffiavano i polsi, né il fiato aspro, o il sudore pungente che gli ingialliva la camicia. 
Anita bella. 
Fu quello. Veniva pronunciato così di rado il suo nome che, quando accadeva, le suonava in testa come un tintinnio e le metteva addosso la nostalgia della pelle di sua madre, della rabbia del fiume lungo il quale era cresciuta, dei lunghi baffi di suo padre, mai visti e mille volte raccontati. 
Anita rivolse a Giovanni un sorriso dei suoi, storto, a occhi stretti, e gli scoccò un bacetto in fronte spingendosi sulle punte dei piedi. 

All’inizio del libro, Rosa va a scuola per cercare di apprendere le basi: imparare a leggere, scrivere e fare di conto. Anita non aveva avuto la fortuna di poter studiare e desiderava che il futuro di Rosa e Ninfa fosse diverso dal suo. 
Ma purtroppo, l’Italia vive un periodo molto difficile a causa della guerra, in tutte le piazze si assiste alla violenza brutale degli squadristi che uccidono senza pietà.

Il Duce era in città per la consegna della Spiga d’Oro, perchè di grano se n’era prodotto più lì che in tutto il regno, e attraversava le strade su una decappottabile da cui salutava la folla accalcata sui marciapiedi. […]
<<Io la guerra la odio>> sentenziò Rosa cercando conferma negli occhi di Ninfa. 
Lei, com’era suo uso, si strinse nelle spalle: non le interessava poi molto. Odiava i fascisti piuttosto, che avevano cercato di cancellare l’anima all’Oltretorrente già in tempo di pace, odiava la maledetta tessera annonaria, che allungava le pance di fame profonda. Odiava la miseria, che si metteva continuamente per traverso sulla sua strada obbligandola a saltare anche quando i piedi le andava di tenerli per terra. 

Il clima ostile della guerra ha ripercussioni nella vita di Anita, che non ha più clienti.
Anita, non può far altro che mandare Rosa a lavorare per la Severa, una donna con gli occhi sempre arrabbiati, che ha dovuto arrangiarsi da sola, da quando il marito era morto, mentre lei aspettava la loro bambina, che in poco tempo era morta a causa della tosse. 
Per questo motivo, Severa, ha sempre un’espressione arrabbiata, di chi ha dovuto fare i conti con il destino e la crudeltà della vita. 
Mentre Rosa prenderà servizio per la Severa, Ninfa che è troppo piccola per lavorare, inizierà la scuola.

<<Chiudi gli occhi.>>
Rosa li serrò così forte da vedere blu.
<<Adesso aprili.>>
Una catenina d’oro con un piccolo ciondolo a forma di cuore pendeva tra le dita di sua madre. La sfiorò.
<<Dove l’hai presa?>>
<<E’ un gioiello di famiglia. E’ rimasto per tanto tempo sotto un sasso, nella golena del Po. Poi mia mamma è andata a prenderlo e l’ha dato a me. Mi ha detto che è di un cugino ricco che prima o poi torna qua e ci porta tutte nel suo palazzo a far la vita da signore!>>
Rosa sapeva che sua madre inventava un sacco di storie e al cugino ricco non credette, ma la dolcezza della sua voce la face piangere e le dispiacque, perchè avrebbe voluto sorridere invece. […]
Anita le asciugò le lacrime con l’orlo della gonna, aprì il fermaglio e le mise il gioiello al collo.
<<E’ tua. Avevo promesso che la davo alla mia figlia più bella.>>
Anche quella era una bugia, era Ninfa la figlia più bella, ma a Rosa non importava e l’abbracciò stringendole la camicia nei pungi.
Anita pizzicò il ciondolo e glielo infilò nell’abito. 

Ninfa è molto diversa dalla Rosa, ha un occhio particolare, quando si arrabbia la pupilla scende verso il naso. Ninfa ha un “dono”, se così si può definire, sente il “puzzo della morte” di signori/e che incontra per strada, che la fa subito vomitare. 
La prima volta che era successo, Anita aveva paura che sua figlia fosse impossessata dal demonio, ma è pronta a difendere sua figlia Ninfa da ogni presa in giro e pregiudizio.
A Ninfa, a differenza di sua sorella Rosa, piace andare a scuola, annusare la carta dei quaderni e dell’inchiostro, ma anche ascoltare la maestra Vincenza.
Vincenza è una donna vestita sempre bene, non appartiene all’Oltretorrente, ma dalla morte dei suoi fratelli non riusciva più a vivere come prima e per questo, aveva accettato di lavorare in un borgo povero, dove la povertà si tocca con la mano.

Ma la guerra era arrivata con l’aria vaga di chi s’infila dove non deve e, senza chiedere permesso né scusa, aveva soffocato la quotidianità con una coperta grigia d’incertezza. Aveva seppellito le domeniche. Aperto la porta al dolore. […]
Nemmeno i corpi aveva restituito quella guerra maledetta, persi chissà dove come la mente della loro madre: ingrigita, improvvisamente incapace di vedere nel cielo la porta del paradiso di cui spesso raccontava ai figli ancora bambini. Il padre, l’uomo più ricco di sorrisi che Vincenza conoscesse, dopo la scomparsa dei suoi ragazzi si era sforzato di ridere ancora. Ma lo faceva con gli occhi vuoti, tanto che la bocca pareva una ferita sul viso invecchiato. Il cuore gli si era fermato mentre piangeva da solo nella stanza del figlio maggiore.Vincenza lo aveva trovato seduto, chino sul proprio petto, e gli aveva asciugato le guance bagnate maledicendo la morte, che non si era degnata di aspettare la fine di quel pianto segreto. 
In quel momento scomparvero dalla sua vita i profumi. E i sapori, e i colori di un tempo che non sarebbe tornato. […] 
Ogni replica di ciò che era stato risultava sbiadita e intrisa di una tristezza pallida, che le cancellava lo spirito in modo inesorabile. Per questo era partita. Per questo si era sporcata le mani ficcandole nella miseria più indecente, tra figli di prostitute e poveri lavoranti, madri analfabete e padri che insegnavano il rispetto con la cinghia. 
 

Dal primo giorno di scuola, Ninfa è oggetto di insulti e pregiudizi per il lavoro che fa sua madre Anita. Ma Ninfa, ha un carattere diverso da Rosa, e dimostra ai suoi compagni che con il suo occhio e il suo carattere, non è disposta a sentire cattiverie sul suo conto. 
Ninfa impara a scrivere, a leggere, è molto intelligente e prende in prestito dalla biblioteca della scuola i libri, a cui strappa le pagine per conservarle gelosamente in una scatola di latta contenente i suoi effetti personali. 
Ma Anita non riesce a pagare l’affitto della casa, solo con lo stipendio di Rosa e deve mandare sua figlia Ninfa a lavorare. 
Per Ninfa sarà un dolore molto grande non andare più a scuola… ma la loro condizione economica si è aggravata da quando, una donna di nome Ida, aveva aperto un bordello nel Borgo della Morte. 
Per questo motivo, Anita non aveva più nessun cliente e quelli più affezionati, erano morti a causa della tosse. Anita ha il cuore e l’anima in frantumi, nessuno al borgo è disposto ad assumere una puttana, ed è costretta a far lavorare le sue figlie per sopravvivere. 
Ninfa non lavorerà per la Severa, come sua sorella Rosa, ma si occuperà di portare dei sacchi di ghiaccio. 
Ma la maestra Vincenza, che si era affezionata alla lingua tagliente e all’intelligenza di Ninfa, decide di andare in casa di Anita per convincerla a mandare a scuola la figlia. 
Per la prima volta, Anita si apre totalmente con una sconosciuta, le racconta la sua vita, la loro situazione economica e piange, liberando la propria anima dalla sofferenza. 

Coprì il viso con le mani e singhiozzò, stupita che il suo corpo si prendesse tanta libertà: lei non glielo aveva detto di sicuro di frignare così di fronte alla signora con gli occhi celesti. 
A spogliarsi nuda grattandosi il sedere si sarebbe vergognata di meno.
Vincenza si alzò e le si accostò con cautela, attenta a non spezzare il filo sottile di confidenza nato dalla disperazione. La sfiorò: prima le spalle, poi i polsi e le mani. Infine l’avvolse in un abbraccio, un po’ rigido all’inizio, ma che, alla risposta di Anita, divenne caldo e prezioso.

E’ proprio grazie a questa chiacchierata con la maestra Vincenza, che Anita prende una decisione: andare al Borgo della Morte e lavorare per Ida. 
Ida è una donna che mostra a tutti un carattere burbero e aspro, ma in realtà è molto buona, compassionevole e decide di prendere Anita e le sue figlie nel suo bordello. 
Ida come Anita, è madre di Angelo e Olga, ma anche di Quinto, un bambino robusto e grande fisicamente, ma con l’intelletto di un bambino di due anni.
Ida, aveva trovato Quinto per la strada, e dopo aver cercato i suoi genitori, che probabilmente, avevano abbandonato il figlio per la sua condizione, aveva deciso di prendersi cura di lui. 
Quinto ha un aspetto di un gigante, ma con un cuore e anima di un bambino, a cui è impossibile non affezionarsi. Infatti, Ninfa si affezionerà particolarmente a Quinto, e insieme condivideranno la passione per i libri. 

Poi con un borbottio che sa Dio cosa vuol dire, mi abbraccia. Sa di sudore e minestra, la sua barbetta riccia gratta come un sacco di juta. Credo di volergli un poco di bene. 
Quando molla la presa, lo accarezzo sulle guance. 
<<Ti piacciono le storie di avventura?>>
Fa un sorriso larghissimo. Scendo dalla cassetta e gli dico di chiudere gli occhi. Li chiude e mi scappa una risata per quanto è buffo con le palpebre che tremolano tutte. 
Sposto una pila di stracci, prendo i miei Robinson adorati e mi siedo per terra a gambe incrociate. Gli dico di guardare. Vede il libro e riesce a sorridere ancora di più. Si arrotola stretto accanto a me, perchè lui le tavelle del soffitto le coccia con la testa: gli mostro la copertina, dico uno per uno i nomi degli uomini aggrappati alla zattera. 
Lui guarda, mi abbraccia, guarda ancora, indica facendomi ripetere. Attacco a leggere il primo capitolo e mi accorgo che si scorda di tirare l’aria nel petto per quanto è preso.
Gli mostro la prima immagine: l’accarezza e dopo accarezza me con le sue mani raspose. 
<<Siamo amici?>> mi chiede con la bocca umida di saliva. 
Gli faccio segno di sì e lui mi si acciambella accanto chiudendo gli occhi: tempo di coprirlo col mio giacchetto e già russa beato.

Nel Borgo della Morte, Anita, Rosa e Ninfa, si abituano presto alla compagnia di Ida e dei suoi figli, Angelo, Olga e Quinto, ma anche di Pinna, Marianna e la signora vecchia, che vivono nel bordello. 
Da quando si sono trasferite al bordello, la loro vita è cambiata: Rosa si è allontanata da Ettore, un ragazzo di cui si era innamorata dal primo giorno, che era entrato in casa per sua madre Anita; Ninfa, aveva ripreso ad andare a scuola per ottenere la licenza elementare e Anita, era più serena di condividere le sue preoccupazioni con le altre donne del bordello. 
Ma la guerra e il fascismo, oltre a devastare la città e gli italiani volontari che decidono di combattere, porta con sé la fame. Nel Borgo si vedevano solo bambini con corpi magrissimi, donne con vestiti larghi e uomini, costretti a stringere la cintura per non perdere i pantaloni. 
Anche al bordello del Borgo della Morte, si sentiva la fame, specialmente da quando non avevano più clienti ed era stata introdotta la tessera annonaria. 
La tessera annonaria, conosciuta come “la tessera della fame”, era un libretto, tessera, introdotto in Italia durante la Seconda Guerra Mondiale, per razionare i beni di prima necessità, come il pane. 
Ed è proprio per la fame e la mancanza di pane, che molte donne, tra cui le ragazze del Borgo della Morte, hanno partecipato a una protesta, iniziata con il saccheggiare un camioncino che portava il pane e terminata tra le urla, davanti alla prefettura. 

La mattina del 16 Ottobre la tenutaria del Bordello di Borgo della Morte, le sue belle e le sue ragazze si ritrovarono davanti alla fabbrica di Scarpe Zanlari da dove, insieme a un numero di donne che due cifre non bastavano a numerarle, si mossero per assaltare il furgone del pane che avrebbe fatto tappa in via Imbriani. Aspettarono che il conducente scendesse a fare le consegne per saccheggiarlo, ficcando micche e filoni sotto il braccio, nelle camicette rivoltate, nelle tasche delle sottane. Qualcuna si perse nella smania di portare a casa quel ben di Dio, Pinna corse dai Donati ancor prima di addentarne un pezzo, ma le più restarono unite, rabbiose e fiere, decise a urlare alla cintera intera e al prefetto quanto la fame picchiasse duro. Marciarono al grido di Pane! Pane!, resistettero al getto d’acqua degli idranti, gridarono la loro disperazione a chi le additava con disprezzo. Giunte di fronte alla prefettura, si abbracciarono orgogliose, Pane! Pane! ripresero a urlare, finché la polizia fascista non brandì i manganelli e prese a colpirle, perchè tanta sfacciataggine meritava mani pesanti. 
Ma alle botte le donne dell’Oltretorrente erano abituate, avevano la pelle spessa, le ossa di marmo: si allontanarono stringendosi a braccetto e continuarono a far rumore fin dove c’erano orecchie a poterle sentire.
Le belle del bordello, con zia Ida in testa, tornarono al bordo festanti, col pane nelle tasche e un unico cuore a farle volare alto. 
Scesero in refettorio, buttarono il pane sul tavolo e risero di gusto, con le mani ai fianchi e i piedi a pestare al ritmo della risata. 
Fu il quel momento, quando la felicità sembrava poter toccare il cielo, che […] vide nero. 
Così, all’improvviso. 
Crollò sul pavimento come una torre di carte. E la felicità sprofondò nel nero con lei.

Tra rivolte, ingiustizie, amore e segreti sepolti sotto la polvere delle strade, si snoda la narrazione di questo libro emozionante, intenso e struggente con personaggi umani e realistici. 
Che cosa accadrà ad Anita, Rosa, Ninfa e alle ragazze del Borgo della Morte?

L’amore. 
Credeva non fosse che il fremere dolciastro che il libercolo sottratto anni prima alla donna addormentata, raccontava. 
Di quei brividi fatti di niente era convinta di poter fare a meno. Ma negli ultimi giorni, aveva sentito in corpo tutt’altra spinta: un pulsare violento, un desiderio ruvido che aveva trascinato con sé ogni altro pensiero. 
Ettore. 
Con l’odore di sale e sudore che ricordava. Con mani grandi e braccia che sapevano stringere con tenerezza. Con la guerra a piegargli la schiena e il bisogno di serenità negli occhi.
Ettore. L’amore di sua sorella. 

 Qui puoi trovare la recensione del romanzo d’esordio “Ci sono mani che odorano di buono” : https://deborahcarraro97.com/2023/03/09/ci-sono-mani-che-odorano-di-buono-di-sara-gambazza/

La scrittrice Sara Gambazza dopo il successo del suo romanzo d’esordio “Ci sono mani che odorano di buono” (Longanesi, 2023), torna in libreria con “Quando i fiori avranno tempo per me”, una nuova storia emozionante, ispirata (in parte) a sua nonna, con il personaggio di Ninfa. 
La scrittrice Sara Gambazza, al centro dei suoi libri, inserisce dei personaggi “ultimi”, proprio come Anita, Rosa e Ninfa, poste ai margini della società. 
La scrittrice Sara Gambazza, ha uno stile di scrittura scorrevole, intenso, struggente e delicato, in grado di arrivare al cuore e all’anima di ogni lettore. 
Ogni parola, ogni frase, all’interno di questo libro è un colore, un sentimento, un dolore, perchè la scrittrice utilizza parole poetiche, intense, delicate e profonde. 
I temi trattati sono la Seconda Guerra Mondiale, la fame, la guerra, la violenza, la morte, il bordello, il rapporto tra sorelle, l’amicizia, la tenacia, la dignità, il fascismo, l’analfabetismo e la difficoltà per molti/e bambini/e di andare a scuola a causa delle condizioni economiche della loro famiglia, i pregiudizi, le cicatrici, le donne e l’amore, capace di sfidare la guerra.
I personaggi sono strutturati bene, grazie alla bravura della scrittrice di rendere ogni personaggio (principale e secondario), realistico, pieno d’umanità. 
Consiglio questo libro a tutte/i coloro che desiderano leggere una storia emozionante, intensa, che racconta una storia di miseria, di coraggio, di sopravvivenza e dignità. 
Consiglio questo libro anche a tutte/i coloro che sono alla ricerca di un libro con una trama solida, costruita alla perfezione, con personaggi umani, che arrivano direttamente al cuore e anima del lettore. 
Ringrazio la scrittrice Sara Gambazza e la casa editrice Longanesi editore, per avermi inviato la copia cartacea del libro, che mi ha permesso di conoscere Anita, Rosa, Ninfa, Ettore, Vittorio, Angelo, Quinto, Olga, Ida e le altre ragazze del Borgo della Morte. 
Lasciatevi travolgere dalla penna delicata di Sara Gambazza e alla fine del libro, vi sembrerà di conoscere per davvero ogni personaggio!!
Buona lettura 📚📚!!

“Vegliare su di lei” di Jean-Baptiste Andrea

Titolo: Vegliare su di lei 
Autore: Jean-Baptiste Andrea 
Casa Editrice: La Nave di Teseo 
Collana: Oceani 
Data uscita: 3 Settembre 2024 
Pagine: 480
Genere: Romanzo contemporaneo 

Viola mi tese la mano e io la afferrai, e in quel preciso momento diventai scultore. Certo, lì per lì non mi resi conto di niente. Ma fu in quel momento, nell’unione dei nostri palmi in quella congiura di sottobosco e civette, che ebbi l’intuizione che c’era qualcosa da scolpire. 

“Vegliare su di lei”, si è aggiudicato il prestigioso Premio Goncourt 2023 e, racconta la storia di Michelangelo Vitaliani, detto “Mimo”. Mimo è un personaggio di fantasia dello scrittore ma, nella narrazione, ha rivoluzionato completamente il mondo artistico con le sue sculture controccorrenti come la “Pietà Vitaliano” (ispirandosi alla celebre “Pietà” di Michelangelo Buonarroti), o la scultura di San Pietro, realizzata per Monsignor Pacelli. 

Riporto qui di seguito, un pezzo tratto dal libro, in cui lo scrittore descrive magistralmente la Pietà di Michelangelo Buonarroti e la confronta con la Pietà Vitaliani: 

La Pietà Vitaliani presenta numerose analogie con la sua illustre antenata, quella di Michelangelo Buonarroti, esposta nella Basilica di San Pietro a Roma. E’ una scultura a tutto tondo, alta un metro e settantasei, larga un metro e novantacinque e profonda ottanta centimetri. A differenza dell’altra, però la Pietà Vitaliani, non sembra essere stata pensata per essere esposta in alto. La base vera e propria ha uno spessore di soli dieci centimetri. 
Fedele alla tradizione, la Pietà raffigura la Madonna che sorregge il figlio dopo la deposizione della croce. Anche in questo caso il modello romano non sembra lontano. Cristo è adagiato sulle ginocchia della madre. La precisione anatomica è ancora più scrupolosa che nell’opera del Buonarroti. O, per essere più precisi, la precisione è analoga, ma, a differenza del suo predecessore, Vitaliani non cerca di rendere bello il suo Cristo. Gli effetti della crocifissione sono visibili nella rigidità del corpo, saturo di acido lattico. Paradossalmente, tradurre la rigidità in un materiale duro come il marmo, non è un’impresa facile. Richiede un uso accorto dello scalpello, perchè risulta visibile solo per contrasto. Contrasto con la serenità del volto, col sorriso accennato sulle labbra dell’uomo. 
Vitaliani non cerca di rendere bello il suo Cristo, che pure lo è suo malgrado, con le guance glabre scavate dall’agonia, gli occhi chiusi sfiorati dalla mano preziosa della madre. Dall’opera si sprigiona una sconcertante impressione di movimento, ancora una volta in contrasto con lo stile ieratico di Buonarroti. 
Impressione niente affatto metaforica: molti spettatori, dopo averla fissata a lungo, hanno giurato di averla vista muoversi. 
Il contrasto raggiunge il culmine nella spettacolare figura di Maria. La madre guarda il figlio con un tenero sorriso, una strana assenza di paura e angoscia in cui molti hanno visto la spiegazione del mistero e dell’isteria. La Vergine è pura dolcezza. Una ciocca di capelli le sfugge dal velo e ricade sulla guancia sinistra. Il volto esprime una profonda serenità, piena della vita che ha appena abbandonato il figlio. 

La scultura di San Pietro, realizzata da Mimo e descritta nel libro in questo modo: 

Più volte Pacelli fece per parlare, ma cambiò idea. Sapevo cosa provava. Il mio San Pietro non corrispondeva a quello che aveva in mente. Che senso aveva realizzare ciò che la gente si aspettava? […]
Il mio San Pietro non era il saggio barbuto e paffuto che si vedeva ovunque. Aveva i lineamenti del Cornuto. Perchè aveva vissuto, sofferto come soffre un uomo che rinnega per tre volte il suo migliore amico, un tradimento che nessuno gli permetteva di dimenticare, letto anno dopo anno in tutte le chiese del mondo. E reggeva la chiave del Paradiso senza l’aria solenne degli altri. […]
San Pietro aveva lasciato cadere la chiave. Era sospesa davanti a lui, tra la sua mano aperta, contratta nel vuoto per afferrarla, e il suolo. L’avevo attaccata alla veste, che sfiorava, con un filo metallico quasi invisibile. 
L’effetto era strabiliante. 

Ma prima di diventare uno scultore, chi era Michelangelo Vitaliani? 
Michelangelo Vitaliani è nato in una famiglia di poveri immigrati italiani, che avevano lasciato la Liguria per trasferirsi in Francia in cerca di fortuna. Mimo aveva ereditato dal padre la passione per la scultura. 
Sin dalla nascita, Mimo è affetto da nanismo, considerato da tutti come un nano, un brutto scherzo del destino. Ma il destino, anche se non gli aveva donato l’altezza, aveva per lui, in serbo qualcosa di più grande, ovvero il grande talento per la scultura. 

Non ho mai portato rancore ai miei genitori. Se la pietra ha fatto di me ciò che sono, se una magia nera era all’opera, come mi ha tolto, la pietra mi ha dato. La pietra mi ha sempre parlato, tutte le pietre: calcaree, metamorfiche, persino le pietre tombali, quelle su cui presto mi sarei sdraiato ad ascoltare le storie di coloro che giacciono. 

Quando era piccolo, Mimo ha perso il padre, che era stato  chiamato al fronte per difendere il territorio francese. Il padre era uno scultore, aveva una piccola bottega dove tagliava pietre, restaurava doccioni o scolpiva delle meravigliose fontane. Il padre, aveva insegnato a Mimo i rudimenti dell’arte, durante la Prima Guerra Mondiale, quando lui era ancora troppo piccolo. 
Ma la morte del padre, ha rivoluzionato completamente la vita di Mimo. 
La madre era di nuovo incinta e non riusciva a mantenere tutti i suoi figli, pertanto, aveva deciso di affidare Mimo a “zio Alberto” (anche se non era proprio uno zio di sangue, ma suo nonno, aveva contratto un debito con il nonno di Mimo), in Italia. 
Zio Alberto abitava a Torino e anche lui, come il padre di Mimo, era uno scultore, ma dedito più alla bottiglia di vino rosso che allo scalpello. Alberto sembrava vecchio, ma non lo era, perchè aveva trentacinque anni, ma il vizio della bottiglia lo faceva sembrare anziano.
La madre, aveva mandato Mimo da zio Alberto, nella speranza che consolidasse e migliorasse a lavorare la pietra, ma Alberto non gli insegnò niente… ma Mimo aveva un grande talento, una grande passione e ogni volta che vedeva un blocco di marmo o una pietra intatti, riusciva già a immaginare l’opera finita. 
Ma un giorno, zio Alberto, decide di abbandonare la città di Torino e di acquistare una bottega a Pietra d’Alba, dove Mimo conoscerà Viola Orsini. 
A Pietra d’Alba, vi erano essenzialmente due clienti: la Chiesa e gli Orsini. Lo zio Alberto, che conduceva uno stile di vita dispendioso a causa del vizio del bere, decise di presentarsi dagli Orsini, che gli affidarono numerosi lavori e restauri importanti. 

Apparve Pietra d’Alba, stagliata contro il sole nascente sul suo sperone roccioso. La sua posizione, me ne resi conto un’ora dopo, era ingannevole. Pietra non era arroccata su una rupe, ma adagiata sul ciglio di un altopiano. Proprio sul ciglio: tra le mura di cinta del paese e l’orlo del baratro c’era un margine che consentiva a stento a due persone di incrociarsi. Poi cinquanta metri di vuoto, o più esattamente di aria pura, carica di essenze di resina e timo. 

Ma è grazie allo zio e a Pietra d’Alba, che Mimo ha conosciuto Viola Orsini. Nessuno, conosce con certezza l’origine della famiglia Orsini, ma attorno ad essa vi erano numerose leggende, che vengono narrate all’interno del libro. L’unica cosa certa, è che gli Orsini erano una famiglia importante, tra le più potenti di tutta la Liguria. 
Viola Orsini, è una ragazza estremamente intelligente e ambiziosa e ha un sogno: volare. Ma i suoi genitori, hanno in mente qualcos’altro per lei: il matrimonio. Ma Viola è determinata a non sposarsi, desidera costruirsi un futuro, ed è per questo che Viola, si reca di nascosto nella biblioteca del padre per studiare ogni manuale, in particolare le tecniche di volo, studiate da Leonardo. 

Volevo dimostrarti che non ci sono limiti. Non c’è né alto né basso. Nè grande né piccolo. Ogni frontiera è un’invenzione. Chi capisce questo infastidisce quelli che inventano quelle frontiere, e ancora di più quelli che ci credono, cioè quasi tutti. So cosa dicono di me in paese. So che la mia stessa famiglia mi trova strana. 
Chi se ne importa. Saprai di essere sulla strada giusta, Mimo, quando tutti ti diranno il contrario. 

Sin da bambina, Viola va contro le consuetudini tipiche, della classe aristocratica e sogna in grande, fregandosene delle opinioni della sua famiglia e delle persone del paese. 
Secondo gli usi della famiglia Orsini, Mimo e Viola non si sarebbero mai dovuti incontrare e parlare, ma a lei le differenze di ceto non interessano. 
E’ così, che nasce una bellissima storia d’amore platonica tra Mimo e Viola. Mimo e Viola diventeranno i “gemelli cosmici”, ovvero saranno sempre legati, oltre il tempo e lo spazio e nessuno potrà mai spezzare la loro unione. 

“Che cosa significa?” 
“Che saremmo legati, oltre il tempo e lo spazio, da una forza più grande di noi che nulla, potrà mai spezzare. […]
Viola fece un salto di gioia, mi abbracciò e mi trascinò in una piccola danza. 
“Siamo gemelli cosmici!!”

Viola crede nel talento di Mimo e grazie al prestigio della sua famiglia, riesce a fargli commissionare alcune opere per la Chiesa di Pietra d’Alba. 
Ma il loro rapporto, non sarà così facile, a causa delle differenze di ceto, che sembrano precludergli ogni possibilità di stare insieme. 
Mimo si ritroverà a viaggiare da Firenze a Roma, creando delle sculture meravigliose e controcorrenti per il periodo storico narrato. Nonostante la distanza, Mimo continuerà a pensare a Viola per tutta la vita. 

Mi ci sono voluti ottantadue anni, otto decenni di malafede e una lunga agonia, per ammettere quello che già sapevo. 
Non esiste Mimo Vitaliani senza Viola Orsini. 
Ma Viola Orsini esiste senza bisogno di nessun altro.

Sullo sfondo, vengono raccontati gli anni convulsi e turbolenti della Prima Guerra Mondiale, il dopoguerra, il fascismo e la liberazione, attraverso i quali Mimo e Viola, saranno costretti a camminare, cercando di tenersi stretti l’uno all’altra, uniti da un legame incrollabile. 

Ciò che conta non è ciò che scolpisci. E’ il motivo per cui lo fai. Ti sei mai posto la domanda? Che cosa significa scolpire? 
E non rispondermi ‘spaccare la pietra per darle una forma’. 
Sai esattamente cosa intendo. 
Non potevo conoscere la risposta a una domanda che non mi ero mai posto e non finsi di saperlo. 
Metti annuì. 
“Lo immaginavo. Il giorno in cui capirai cosa significa scolpire, farai piangere gli uomini con una semplice fontana. Nel frattempo, Mimo, un consiglio. Sii paziente. Sii come questo fiume, immutabile, tranquillo. 

Il regista, scrittore e sceneggiatore francese Jean-Baptiste Andrea, dopo il successo del suo romanzo d’esordio “Mia Regina” (2018) e “L’uomo che suonava Beethoven” (2022), pubblica “Vegliare su di lei”, ottenendo il prestigioso Premio Goncourt 2023. 
“Vegliare su di lei” è un travolgente affresco, con cui si mescolano arte, storia e passione, creando una storia avvincente ed emozionante. 
Il lettore resterà travolto dallo stile poetico dello scrittore, che attraverso le parole arriva dritto al cuore. 
I temi trattati sono la prima guerra mondiale, il dopoguerra, il fascismo, la liberazione, la morte, il nanismo, i pregiudizi, l’immigrazione e l’amore, l’amore per l’arte e quello eterno, tra un uomo e una donna, capace di sopportare qualunque cosa pur di inseguire i propri sogni. 
Lo stile di scrittura è poetico, sublime, magistrale, avvincente ed emozionante, a tratti diretta e cruda, con un tocco di cinismo, ma con l’obiettivo di scavare nel profondo dell’essere umano per scoprire i desideri più intimi. 
I personaggi, sono strutturati molto bene perchè Mimo e Viola sono due personaggi forti, pagina dopo pagina il lettore assisterà alla loro evoluzione. 
Consiglio questo libro a tutte/i coloro che desiderano leggere una storia con una trama originale ed avvincente, con un finale inaspettato. 
Consiglio questo libro anche a tutte/i coloro che desiderano una lettura piena di avvenimenti storici, dalla prima guerra mondiale fino ad arrivare al periodo della liberazione.
Ma la protagonista indiscussa, di questo libro è l’arte, la scultura che si mescola perfettamente alla storia, arrivando al cuore del lettore con una forza inaspettata!!
Lasciatevi travolgere dalla penna di Jean-Baptiste Andre, alla scoperta delle sculture di Michelangelo Vitaliano!!
Buona lettura 📚📚!!

“Miss Be & Il fantasma dell’ambasciata” di Alessia Gazzola

Titolo: Miss Be & Il fantasma dell’ambasciata 
Autore: Alessia Gazzola 
Casa Editrice: Longanesi Editore 
Collana: La Gaja Scienza 
Edizione: 3 
Data uscita: 18 Marzo 2025 
Pagine: 272 
Genere: Romanzo giallo 

<<C’è un fantasma che infesta l’ambasciata, lo sanno tutti!>>
<<E’ la prima volta che ne sento parlare! Che storia c’è dietro?>> incalzò quindi Beatrice, che aveva una certa inclinazione verso le storie gotiche (non a caso divorava i romanzi di Carolina Invernizio). 
<<Una storia tristissima, come tutte le storie di fantasmi>> rispose Emily, con aria cospiratoria. 
<<E’ il fantasma di Lady Mary Ingham. Era la figlia di un ricchissimo mercante di zucchero ed era arrivata da un’isola lontana per sposare un conte. Viveva lì, in quelle stesse stanze dove voi adesso lavorate.>>
A Beatrice venne da rispondere: <<Da me non si è mai fatta vedere!>> 
<<Il conte l’aveva fatta internare perchè lei diceva di vedere i fantasmi… Ma poi dovette riprenderla a casa perchè nel frattempo era rimasta incinta. Morì di parto in una notte da lupi, maledicendo il conte e tutta la sua stirpe da quel momento>> concluse la ragazza, abbassando la voce con tono teatrale, <<Lady Ingham infesta il palazzo, tetra e spaventosa come i fantasmi che l’avevano perseguita per tutta la vita.>>

Nel primo volume “Miss Be & Il cadavere in biblioteca”, abbiamo conosciuto la protagonista Beatrice Bernabò, una ragazza d’origini italiane, trasferita insieme alla sua famiglia a Londra, per il nuovo incarico del padre Leonida Bernabò, presso l’Università. 
Beatrice è una ragazza molto intelligente, che in ogni volume si ritrova a risolvere un caso d’omicidio o un furto, insieme all’ispettore capo di Scotland Yard, Archer Blackburn. 
Nel secondo volume “Miss Be & Il principe d’inverno”, la protagonista Beatrice Bernabò, si è ritrovata a trascorrere il Natale del 1924 ad Alconbury Hall, la residenza della famiglia dei Lennox. Il lettore, ha avuto modo di conoscere meglio alcuni personaggi, come Lady Millicent Carmichael, ma anche Julian e tanti altri. In particolare, in ogni volume, il lettore assiste a una vera evoluzione della protagonista, che la porterà a emanciparsi. 
Se non hai ancora letto i volumi precedenti di questa bellissima serie ambientata a Londra, tra il 1924 e il 1925, puoi recuperare qui le recensioni: 

– Recensione primo volume “Miss Be & Il cadavere in biblioteca” : https://deborahcarraro97.com/2024/12/20/miss-be-il-cadavere-in-biblioteca-di-alessia-gazzola

-Recensione secondo volume “Miss Be & Il principe d’inverno”: https://deborahcarraro97.com/2025/05/21/miss-be-il-principe-dinverno-di-alessia-gazzola/

La narrazione del terzo volume, si svolge dopo due mesi da “Miss Be & Il principe d’inverno”. 
Nel terzo volume “Miss Be & Il fantasma dell’ambasciata”, la protagonista Beatrice Bernabò è costretta, su insistenza del padre, a lavorare come segretaria all’ambasciata italiana. 
Dopo il suo soggiorno tormentato ad Alconbury Hall, Leonida Bernabò era stato chiaro: Beatrice non avrebbe più dovuto avere nessun rapporto ambiguo con l’undicesimo visconte di Wartmore, Julian Lennox. Beatrice, ormai, era consapevole che Julian avrebbe sposato Lady Octavia Charteris, ma non è sempre così facile reprimere il proprio cuore. 
Beatrice Bernabò, ogni mattina prende due omnibus per arrivare a Grosvenor Square, dove si trova l’ambasciata d’Italia in Gran Bretagna. In ambasciata, Beatrice svolge diverse mansioni: da quelle di segreteria ad organizzare eventi prestigiosi, come il ricevimento in onore di una delegazione proveniente da Firenze, la città natia dei Bernabò. 
Il padre Leonida Bernabò, aveva deciso di lasciare l’Italia insieme alle sue figlie, Clara, Beatrice e Lucilla, per allontanarsi dalla situazione politica, sempre più pericolosa a causa del fascismo. Per questo motivo, il signor Bernabò aveva accettato l’incarico come professore d’Italianista a Londra. 
A Londra, i Bernabò si erano integrati molto bene con il clima cittadino, soprattutto Beatrice che nel tempo libero si dedicava a creare dei bellissimi paralumi. 
Ed è proprio da Firenze, che arrivano due membri del comitato scientifico degli Uffizi, di nome Laurent Drago e Sara Ordovàs, una bravissima archeologa italiana. 
Oltre ai due membri del comitato scientifico, l’ambasciata è in fibrillazione per accogliere Edoardo Verduno Conti, il figlio dell’ambasciatore Gianandrea (nonché un carissimo amico di Leonida Bernabò) e la sua fidanzata Elisa Cavaciocchi, accompagnata dalla madre Amelia Cavaciocchi. 

A Beatrice sembrò una precisazione intimidatoria, il che contrastava con il viso dai tratti ancora infantili che caratterizzava Edoardo. Era stato un ragazzo avvenente ma lei dubitava che potesse mantenersi tale, perchè sarebbe stato un uomo con il volto da bambino. 
<<Elisa disegna da quando era piccola>> lo rintuzzò Amelia. 
<<Non erano disegni poi così belli>> disse infine la signorina Cavaciocchi, sbrigativa. 
<<Possiamo ammetterlo>> soggiunse Edoardo, ridendo come se avesse appena fatto una battuta di spirito, ma con lui rise solo Margherita. 
<<E’ un sollievo che tu abbia smesso, tesoro.>> 
Per un attimo, Beatrice si mise nei panni di Elisa e la compianse: a lei, non sarebbe piaciuto sentire gli altri parlare in quei termini di qualcosa che la appassionava. Come dei suoi paralumi, per esempio. Doveva essere deprimente venir sminuita da un fidanzato che metteva bocca nei suoi affari privati. Non la invidiava affatto, e anzi, abbe ancora più a cuore la propria libertà.

Beatrice e le sue sorelle, non hanno mai avuto modo di trascorrere molto tempo con Edoardo, nonostante la forte amicizia tra le due famiglie, perchè l’ambasciatore Gianandrea e sua moglie Margherita, temevano che potesse sorgere un sentimento più forte, rispetto a una semplice amicizia. 
Beatrice era molto brava a svolgere i suoi compiti in ambasciata, grazie al suo carattere espansivo e solare andava d’accordo con tutto il personale, ad eccezione del consigliere di delegazione Ettore Amerighi. Ettore Amerighi è un uomo che ha un carattere molto scontroso e difficile, soprattutto con Beatrice. 
Un giorno, mentre Beatrice si stava recando in ambasciata, aveva incontrato sull’omnibus Emily Jenkis, una cameriera dell’ambasciata che le aveva raccontato la storia del fantasma dell’ambasciata. 
Secondo la storia, in ambasciata, vi era il fantasma di Lady Mary Ingham, che poco prima di morire di parto, aveva lanciato una maledizione a suo marito, il conte e alla sua stirpe. 
Ma Beatrice, non ha mai creduto ai fantasmi… ma all’improvviso in ambasciata, si verificano degli strani avvenimenti. 
Rumori improvvisi, presenze inquietanti, sussurri nel buio, urla e biancheria intima sporca di sangue… questi sono alcuni dei fenomeni strani e spaventosi che si verificano di giorno e di notte nelle mura dell’ambasciata. 
Che ci sia, veramente un fantasma in ambasciata? 
Ma come è possibile? 

Tuttavia, la situazione in ambasciata peggiora, perchè qualcuno ha inserito una bomba. E’ così che entra in scena, l’amatissimo Ispettore Archer Blackburn, che rincontrerà la vecchia e intrigante conoscenza di Miss Bernabò. 
Ma esiste davvero il fantasma dell’ambasciata? 
O è all’opera qualche forza di natura ben più concreta e minacciosa? 
Contrariamente a quanto avrebbe auspicato Leonida Bernabò, sarà proprio sua figlia Beatrice a risolvere questa complicata situazione. 
E chissà, se Beatrice riuscirà a scoprire la verità e a fare pace con il proprio cuore? 

La libertà è la cosa più preziosa che possiedo. 
Non la sacrificherò mai. 

La scrittrice Alessia Gazzola, autrice di numerosi libri di successo da cui sono tratte le serie televisive dell’Allieva e di Costanza Macallè, torna in libreria con una nuova brillante protagonista femminile, di nome Beatrice Bernabò. 
“Miss Be & Il fantasma dell’ambasciata” è il terzo volume di questa bellissima serie, ambientata a Londra tra il 1924/1925. 
I temi trattati sono il fascismo, l’emancipazione femminile, la libertà, i pregiudizi, i fantasmi, l’amicizia, il ruolo delle donne nella società, l’arte, le passioni, i pregiudizi e l’amore. 
Lo stile di scrittura è scorrevole, piacevole, divertente, emozionante e pieno di suspence, il lettore cercherà di capire insieme alla protagonista e ai personaggi coinvolti, se veramente l’ambasciata è infestata dagli spettri. 
I protagonisti sono strutturati molto bene, grazie alle ampie descrizioni fisiche e psicologiche, inserite dalla scrittrice. In questo terzo volume, il lettore ha modo di conoscere dei nuovi personaggi da Edoardo Verduno Conti e la sua fidanzata Elisa Cavaciocchi a Federico Scandiani, giunto a Londra, ospite dai Bernabò per perfezionare gli studi in medicina.
In questo volume, mi sono affezionata particolarmente a Clara, la sorella maggiore di Beatrice e Lucilla. Clara è sempre stata la sorella “perfetta”, colei che non ha mai commesso un errore, ma in questo terzo volume, mostrerà al lettore le proprie fragilità e i propri sentimenti. 
Consiglio questo libro a tutte/i coloro che desiderano leggere un libro ricco di colpi di scena, perfetto per chi adora Jane Austen e Agatha Christie perchè la scrittrice Alessia Gazzola, grazie alla sua maestria, riesce a intrecciare due generi: il rosa e il giallo. 
L’ambasciatore italiano a Londra è lieto di invitarvi al suo ricevimento d’onore… per l’occasione vestitevi elegantemente e godetevi gli intrighi amorosi, misteriosi intrecci nobiliari… ma state attenti al fantasma!! 
E vi ricordo, che il 18 Novembre uscirà il quarto volume di Miss Be, ovvero “Miss Be & Il giardino avvelenato”. Chissà, quali saranno le nuove avventure di Miss Be? 
Non ci resta che attendere il 18 Novembre per scoprirle!!
Buona lettura 📚📚!!

“La Giulia dei Morini” di Clara Negro

Titolo: La Giulia dei Morini 
Autore: Clara Negro 
Casa Editrice: Morellini editore 
Collana: Varianti 
Data uscita: 2 Maggio 2025 
Pagine: 455 
Genere: Romanzo storico 

Il Bellingeri le aveva mostrato le regole della tavola e quelle della buona società, Giulia ci passava delle mezz’ore davanti allo specchio a provare saluti e riverenze, inchini e baciamani sulle note secche di qualche vecchia nobildonna. 
Grazie a lui la Morina fu introdotta in una cerchia diversa dalla schiera di personaggi goderecci frequentati fino ad allora, niente più festini di soli uomini, o insieme a donne compiacenti più di lei.
Dopo qualche tempo che si frequentavano il giudice iniziò a portarla a teatro, al ristorante, la scortava all’opera, e, negli ultimi tempi, l’aveva introdotta anche alle feste private della Bologna bene, quella dei nomi altisonanti, e non si curava delle occhiate malevoli di mogli, madri e fidanzate, fossero esse blasonate o no. 
Fu proprio all’opera che il Bellingeri presentò la sua giovane compagna a una vecchia amica: la contessa Elvira Sampieri. 

Il nuovo romanzo storico della scrittrice Clara Negro, è ambientato durante il ventennio fascista tra la Toscana, Genova, Bologna e Sanremo. 
La protagonista del libro di chiama Giulia Corsini, soprannominata da tutti “la Morina”, per via del colore della pelle e dei capelli della famiglia a cui appartiene, (anche se Giulia, ha i capelli biondi). 
La Giulia (così viene chiamata nel libro, con l’articolo davanti al nome proprio, per l’influenza toscana), è la più bella della famiglia Morini, bionda, alta e sottile, dallo spirito ribelle e ambizioso che la porta a commettere azioni sconsiderate per entrare a far parte di una stretta cerchia di nobili. 
La famiglia di Giulia ha origini toscane, il padre Alfredo si è sempre battuto per difendere i suoi ideali, anche a costo di abbandonare il proprio lavoro e le sue origini, insieme alla sua famiglia. 
Giulia e la sua famiglia, composta dalla madre Giovanna, il padre Alfredo, le sue sorelle Ersilia, Adalgisa e Colomba, e i suoi fratelli Moro e Colombo, sono stati costretti a lasciare la Toscana per trasferirsi a Genova, alla Rimessa. Pontedecimo è una frazione di Genova, lontana dal fronte e grazie alle Ferriere, offre agli abitanti numerosi posti di lavoro. 

Come sarà la nostra vita adesso? Una terra nuova, nuova gente, e chissà com’è la loro parlata? La Rimessa, Pontedecimo, Genova, ho sentito quei nomi dall’Alfredo, e mi fanno un po’ paura. Ci sono monti aspri e sassosi dove stiamo andando, nella campagna alle spalle della città, una città lontana dal fronte, ha detto il babbo, ma che dà l’acciaio e il ferro per la guerra. Per questa ragione il lavoro non manca. In quella valle, Polcevera, l’ha chiamata l’Alfredo, ci sono le Ferriere, ferrovie dove c’è bisogno di braccia buone. 

Possiamo dividere essenzialmente, la vita della protagonista Giulia, in quattro tappe principali, quattro come le città in cui ha dovuto trasferirsi (Toscana, Genova, Bologna e Sanremo). 
Ogni tappa, mostra con chiarezza lo spirito ribelle della protagonista e il suo desiderio di conquistare le vette più alte della società. A Giulia, non piaceva vivere alla Rimessa, desiderava una vita agiata che le garantisse tutti i comfort. Per questo motivo, proprio durante l’alluvione del novembre del 1921, che ha visto aumentare notevolmente le dimensioni del fiume Polvevera, suo fratello Moro, aveva invitato a casa un uomo di nome Otello Manzi. 
Otello Manzi, come Moro, lavora nelle ferrovie e vive a Bologna, insieme alle sue sorelle Fedelma e Aminta, che lo riveriscono come un Re. 

Odio l’inverno, e l’inverno alla Rimessa mi è insopportabile. Giorno dopo giorno questo posto diventa sempre più triste e squallido. Siamo a novembre e sono ormai due settimane che piove, giorno e notte, senza tregua, tanto che il Polcevera sembra un fiume vero, e non quel rigagnolo che striscia verdastro tra i sassi in estate. Le onde marroni di terra si abbattono contro le murate, e l’acqua ha saltato gli argini in qualche punto lasciando fango e terra sulle strade, buttando alberi spezzati dal vento e ghiaia e rocce contro le porte delle case. 

Otello Manzi anche se è “un uomo fatto e finito”, con il doppio degli anni di Giulia, rimane colpito dalla sua bellezza, tanto da decidere di sposarla. Per Giulia, il matrimonio con Otello, è l’occasione per lasciare la vita “sciatta”, umile della Rimessa, a favore di una nuova vita a Bologna. 

<<Certo che a s’è scistemâ a Morina, a l’ha faeto bên, a saia na scignôa, e sénsa fâ ninte!>>
<<Tanto non l’è mai andato di faticare a quella lì!>>
Le donnette, spettegolando a gruppi, aspettavano che gli sposi uscissero dalla chiesa. Gli uomini che vedevano passare la Giulia, sottile e pallida, fasciata in quell’abituccio di mussola bianca che Giovanna le aveva cucito addosso, avrebbero voluto vestire i panni dell’Otello. 
Di quel giorno alla Morina rimasero negli occhi le lacrime della madre, il pianto dirotto dell’Ersilia e sulla pelle l’abbraccio robusto di Colomba, che le aveva sussurrato all’orecchio, ” il mondo è pieno di gente più furba di te”. 
Era salita sul treno con il marito che la mangiava con gli occhi, con una valigia, il baule del corredo, e una scatola di libri. Erano il regalo della vecchia maestra della Rimessa, la Nerina, ed era merito suo se Giulia sapeva leggere e far di conto.

A Bologna, vivrà insieme alle cognate Fedeltà e Aminta, che le mostreranno un nuovo modo di fare soldi, senza coinvolgere il marito. E’ così che Giulia, partecipa a feste altolocate e conosce delle personalità importanti come nobili decaduti, borghesi arricchiti e donne, mogli invidiose della sua bellezza. 
Giulia fa della bellezza un vero e proprio strumento di potere, in un clima molto difficile e rigido per le donne, viste solo come “mogli” e “madri”, senza poter godere della propria libertà. 

D’altra parte erano gli anni in cui tutti gli uomini avevano il dovere di esibire coraggio e amor di patria, e le donne di figliare e a dare al paese prole sana e numerosa. Erano gli anni dei sogni disillusi, di un’Italia umiliata e povera che raschiava il fondo di un barile già vuoto da un pezzo. Tutti facevano un gran parlare di scioperi e sommosse e scontri fra socialisti e nazionalisti. […]
Le tornò in mente l’Alfredo, sarebbe stato felice delle ribellioni degli operai, orgoglioso di vedere i contadini battersi per il possesso della terra. 
Quello era il momento che suo padre aveva aspettato per tanto tempo: combattere l’autorità e le istituzioni e con la lotta aperta contrastare il fascismo. 

A complicare il clima e la situazione in Italia, si sviluppa il fascismo, un movimento oppressivo guidato da Mussolini, con l’obiettivo di sterminare gli ebrei, ritenuti inferiori ed eliminare qualsiasi persona contraria alle idee del Duce e del Regime. 
Giulia frequenta sempre più assiduamente salotti e feste mondane, entrando nelle grazie della contessa Elvira Sampieri, che le farà conoscere molte persone importanti, anche un nobile di nome Edoardo Belotti. Giulia si innamorerà di Edoardo, mettendo in dubbio la sua vita, i suoi ideali e il matrimonio con l’Otello. 
Ma Bologna, sarà solamente una tappa all’interno della storia, perchè la protagonista e suo marito Otello, si trasferiranno a Sanremo, il luogo in cui la Morina troverà definitivamente la sua strada, sotto le torri del Casinò. 
Un romanzo storico che intreccia magistralmente l’emancipazione femminile, la vita, le passioni e l’identità, ambientato durante il fascismo. 
Lasciatevi travolgere dalla penna sublime di Clara Negro, che vi farà conoscere una donna brillante, ribelle e ambiziosa!

A differenza della magnolia però Giulia non aveva radici che la legassero alla terra. Non ne aveva mai avute. Mai si era sentita parte di un luogo. Tutti i dove che aveva abitato, li aveva trasformati in casa, e altrettanto facilmente li aveva abbandonati senza rimpianti. 
In fondo, abbandonare i luoghi era molto più facile che lasciar indietro una famiglia. 
La Morina aveva fatto anche questo per sopravvivere via da San Giovanni, dalla Rimessa e da Bologna. 

La scrittrice di gialli, genovese Clara Negro, pubblica “La Giulia dei Morini”, in cui la vita della protagonista si intreccia agli avvenimenti storici narrati nel libro. 
I temi trattati sono l’emancipazione femminile, la passione, la libertà, la ricerca d’identità, le maschere, gli ideali, i dialetti italiani, il giudizio degli altri, il fascismo, le amicizie e l’amore. 

Dopo i primi tempi di entusiasmo, aveva capito che tutti lì indossavano una maschera, e forse nascondevano dietro falsi sorrisi e il vuoto dell’anima. Era come muoversi sulla scena di un grande teatro dove ognuno giocava un ruolo che spesso neppure si era scelto, e che forse altri avevano deciso per lui. L’unica cosa vera, concreta era il denaro, a cui tutti agognavano. Lei compresa.
“E che maschera ho scelto di indossare, io?” Sorrise, e delicatamente si passò una mano sul viso.
“Quella della bellezza”, pensò. 

Lo stile di scrittura è scorrevole, piacevole, magistrale ed emozionante, in grado di far commuovere il lettore. 
I personaggi sono strutturati bene, grazie alle ampie descrizioni inserite dall’autrice, che permettono al lettore di affezionarsi alla protagonista Giulia, ma anche alla simpatia e spontaneità di  Fedelma e Aminta. 
Consiglio questo libro a tutte/i coloro che desiderano leggere un libro ambientato durante il fascismo, che tratta con delicatezza l’emancipazione femminile, la ricerca d’identità e le maschere. 
Consiglio questo libro anche a tutte/i coloro che desiderano conoscere una protagonista brillante, intelligente, con uno spirito ribelle e ambizioso. 
Buona lettura 📚📚!!

“Miss Be & Il Principe d’inverno” di Alessia Gazzola

Titolo: Miss Be & Il Principe d’inverno
Autore: Alessia Gazzola 
Casa Editrice: Longanesi Editore 
Collana: La Gaja Scienza 
Edizione: 2 
Data uscita: 14 Gennaio 2025 
Pagine: 256 
Genere: Romanzo giallo 

Ma poi lo vide sfilarsi i guanti, prima l’uno, poi l’altro, e lasciarli cadere dove capitava. Le strinse la nuca e con il pollice le sfiorò la guancia, con un tocco dolce come era inimmaginabile che lui potesse essere e come se lei non avesse nessuna cicatrice. 
<<Non dirmi che non la vedi.>>
<<Non più. Io vedo te.>>
<<Lo dici per pietà.>>
<<Pietà?>> ripetè lui sorridendo. 
Beatrice, che per un attimo lo aveva ritrovato, non era disposta a perderlo. <<Dimostramelo.>>

Nel primo volume “Miss Be & Il cadavere in biblioteca”, abbiamo conosciuto la protagonista Beatrice Bernabò, una ragazza d’origini italiane, trasferita a Londra per il nuovo incarico del padre, Leonida Bernabò presso l’Università. 
Ci siamo affezionati alla protagonista Beatrice, alla sua intelligenza e alla sua arguzia, con cui cerca di risolvere i gialli di cui si ritrova sempre in mezzo. 
Preparatevi a tornare nel mondo patinato dell’aristocrazia britannica, con nuovi misteri da risolvere e triangoli amorosi passionali e intriganti!!

Se non hai ancora letto la recensione del primo volume “Miss Be & Il cadavere in biblioteca”, puoi recuperarla qui: https://deborahcarraro97.com/2024/12/20/miss-be-il-cadavere-in-biblioteca-di-alessia-gazzola/

Il secondo episodio delle avventure di Beatrice Bernabò “Miss Be & Il principe d’inverno”, è ambientato nel dicembre del 1924, nel Derbyshire. Beatrice si ritrova a passare il Natale ad Alconbury Hall, insieme alla sorella minore di nove anni Lucilla.
Alconbury Hall è un luogo magico, è la residenza di campagna della nobile famiglia dei Lennox. 
Come mai Beatrice, si trova ad Alconbury Hall?
Lord Julian Lennox, l’undicesimo visconte dei Warthmore, aveva suggerito alla zia Lady Millicent Carmichael, di assumere Beatrice Bernabò, come sua assistente personale. La zia di Julian è una donna molto altolocata, stravagante che per combattere il freddo, alle quattro del pomeriggio beve lo sherry Flip, un cocktail segreto composto “da una base di sherry, sciroppo di zucchero e uovo con una spolverata di noce moscata.” 
La zia ha un legame molto stretto con suo nipote Julian e, decide di accettare il suo suggerimento e assume Miss Bernabò. 
Beatrice, si ritrova a trascrivere le memorie scandalose di Lady Millicent Carmichael, che si era messa in testa di pubblicare le sue memorie in forma anonima “per far passare un brutto quarto d’ora a qualcuno”. 
A Beatrice piaceva trascrivere gli aneddoti di Lady Millicent, che trovava divertenti e sconcertanti allo stesso tempo. 

Lady Millicent Carmichael, che l’aveva assunta in qualità di segretaria personale, sembrava del tutto immune alla colata di gioviale melassa che accompagnava l’atmosfera natalizia. Mostrava tenerezza solo nei confronti di Fanny, una scimmietta brutta come la fame che suo nipote Julian le aveva portato dall’India sei mesi prima. Lady Carmichael aveva chiaramente un debole per lui. 
All’atto pratico Beatrice era incaricata di trascrivere le sue memorie, che la nobildonna intendeva pubblicare in forma anonima […] e che Beatrice trovava sconcertanti ma anche vagamente divertenti, perchè Milady le narrava con una certa incurante perfidia. 

E poi, Beatrice, quando non doveva svolgere il suo lavoro, si godeva l’atmosfera natalizia di Alconbury Hall, con i cammini accesi e scoppiettanti, oltre a partecipare alle cene eleganti che si tenevano nel palazzo. 
E’ così che Beatrice, conoscerà Alexander Aliankov, principe russo esule dopo la Rivoluzione d’Inverno, nonché cugino di Julian. Il principe Alexander è un uomo molto affascinante, ma ha sempre un atteggiamento triste e cupo, proprio come un principe d’inverno. 
Oltre al principe Alexander, Beatrice conoscerà tante altre persone importanti, come Neville Harclay, generale dell’esercito di Sua Maestà in congedo, che desidera sposare Lady Octavia Charteris, la figlia minore del conte di Durrington. 

Da quando, appena arrivato, Neville le aveva annunciato le sue intenzioni con la figlia del conte di Durrington, lei non faceva che tormentarsi cercando soluzioni per impedire quel matrimonio senza però doversi intromettere in prima persona. Ecco, la soluzione era davanti a lei incarnata da suo nipote. 
Julian era morbosamente legato a Octavia: bastava lasciar fare a lui il lavoro e presto lei per prima ne avrebbe goduto i frutti. Peraltro Alconbury aveva bisogno dei soldi di Octavia, quindi insomma, tutto le sembrava lineare, ma con un’unica incognita: Miss Bernabò. 
E se Julian avesse mollato la presa su Octavia proprio perché aveva un debole per la ragazza? 
Raccomandargliela per pura carità non era da lui. 
Julian aveva sempre un secondo fine, era così anche da bambino. 

Nel primo volume, abbiamo imparato a conoscere Lady Octavia, fidanzata con Alastair, il fratello maggiore di Julian. Julian e Lady Octavia hanno un bellissimo rapporto d’amicizia, e il visconte, è disposto a qualsiasi cosa, pur di salvarla, anche a rinnegare i sentimenti che prova per Miss Bernabò. 
Ancora una volta, Beatrice si ritroverà a dover ascoltare il suo cuore, che sembra provare qualcosa per Julian. Mentre Beatrice cerca di capire i suoi sentimenti per il visconte, avverte delle strane tensioni ad Alconbury Hall, tensioni che aumenteranno giorno dopo giorno. 
La zia Millicent non trova più il suo prezioso anello… ma chi può averlo rubato? 

<<Non c’è nessun ladro. E’ l’isteria di mia zia.>> 
<<Però l’anello non si trova più, e questo è un fatto.>>
<<Non era successo anche a voi, con la vostra spilla? L’avete cercata per giorni e poi è riapparsa per miracolo, no? […] >>
<<Ma io alla scomparsa della mia spilla avevo dato un significato simbolico. Glielo do ancora, per questo la porto sempre.>> […]
<<Non è Kit che tengo vicino a me>> confessò infine Beatrice, con la voce tremante, decidendo di riprovare a parlargli a cuore aperto. Fino a poco tempo prima, funzionava. 
<<E’ il dispiacere che mi ha dato. Per non dimenticarmene mai. Per non cascarci di nuovo, con nessuno. Questo è il significato. >>
Julian la scrutò intensamente, ma era impossibile leggergli dentro. 
<<Bee, io non… io non lo renderò necessario>> sussurrò chinandosi appena su di lei, e quel sussurro per un attimo la fece vibrare. 

E’ così che rientra in scena, l’ispettore di Scotland Yard, Archer Blackburn, che cercherà di scoprire chi ha rubato l’anello della zia Millicent. 
Ma il furto dell’anello è soltanto l’inizio, la protagonista Beatrice Bernabò, ancora una volta dovrà cercare di risolvere un mistero, un mistero che ruota intorno ad Alconbury Hall. 
Riusciranno Beatrice e l’Ispettore Archer, a scoprire chi ha rubato l’anello? 
Che cosa accadrà tra Beatrice e Julian?

Baciarlo era sbagliato ma era anche l’unica cosa al mondo che sentiva di volere e, quando in effetti lui si chinò per sfiorarle le labbra, stabilì che non voleva altro. 
Mentre lei gli affondava una mano tra i capelli, che erano soffici e puliti, lui prese a baciarle il collo, con tanto impeto che la lasciò arrossata. […]

La scrittrice Alessia Gazzola dopo l’incredibile successo del primo volume “Miss Be & Il cadavere in biblioteca”, torna in libreria con le nuove avventure di Beatrice Bernabò in “Miss Be & Il principe d’inverno”. Il lettore si ritroverà a vivere l’atmosfera natalizia e il freddo pungente della campagna inglese, nella bellissima residenza dei Lennox. E tra furti, tra battute di caccia alla volpe e sparizioni misteriose, il lettore cercherà di risolvere il mistero insieme alla protagonista. 
I temi trattati sono le atmosfere British, il fascismo, l’aristocrazia britannica, la gravidanza, le cicatrici, il rapporto tra sorelle, la società, l’amicizia, le ambizioni, il rapporto tra genitori, la libertà, il ruolo delle donne nella società e l’amore. 

E soprattutto, stava fissando la cicatrice sulla guancia che Beatrice aveva da quando era bambina, il rattoppo di un chirurgo che aveva bisogno di fare ancora un po’ di pratica. Era finita contro lo stipite di una porta mentre lei e sua sorella Clara giocavano a inseguirsi per tutta la casa e quella cicatrice era il suo punto debole. […]
Beatrice le fece un cenno di saluto, benché si amareggiasse sempre contro chi fissava la cicatrice, perchè lo trovava un gesto privo di tatto che senza motivo, e per pura indifferente crudeltà, la spogliava di uno strato di sicurezza interiore. Lei non aveva modo di coprire, doveva esibirla al mondo, contando sull’aver imparato a conviverci ma un po’ di discrezione altrui era gradita.

Lo stile di scrittura è scorrevole, piacevole, magistrale, divertente ed emozionante, ricco di descrizioni sui personaggi e ambientazioni storiche descritte nei attentamente. 
I personaggi sono strutturati bene, grazie alla bravura inconfondibile della scrittrice Alessia Gazzola, che dona al lettore ogni volta, una nuova protagonista brillante, un po’ fuori dagli schemi, di cui è impossibile non affezionarsi. 
Consiglio questo libro a tutte/i coloro che vogliono immergersi in un giallo originale, diverso dal solito, ambientato nella suggestiva cornice inglese del 1924 ad Alconbury Hall, con un nuovo mistero, un nuovo giallo da risolvere insieme alla protagonista Beatrice Bernabò. 
Consiglio questo libro anche a tutte/i coloro che desiderano una lettura frizzante, spensierata, incantevole e romantica. 
Buona lettura 📚📚!!

“Le furie di Venezia” di Fabiano Massimi

Titolo: Le furie di Venezia 
Autore: Fabiano Massimi 
Casa Editrice: Longanesi Editore 
Collana: La Gaja Scienza 
Edizione: 2 
Data uscita: 20 Agosto 2024 
Pagine: 400 
Genere: Romanzo giallo storico 

Venezia, 1934 
Una donna che potrebbe rovesciare le sorti di Mussolini. 
Un figlio da trovare e salvare. 
Un azzardo disperato per cambiare il corso della storia.

<<Verso quell’isola>> rispose Mutti, e virò a sua volta, sempre tenendosi a debita distanza. Quando vide il motoscafo rallentare puntando verso un alto edificio proteso sul bordo di un’isola, anche lui tolse gas al barchino. 
<<C’è un molo>> disse Sauer, che tra i due aveva la vista migliore. 
<<Lo vedo>> mentì Mutti. <<Mi fermo qui>> aggiunse, dato che Mussolini attaccava proprio a quel molo. <<C’è qualcuno o sbaglio?>> 
Un uomo vestito di bianco da capo a piedi, con indosso una sorta di mantello che svolazzava alla brezza lagunare, stava in effetti attendendo il Duce su un pontile, le gambe larghe, le braccia conserte. In testa non aveva un capello, e qualcosa gli brillava al centro del petto. 
Il motoscafo spense il motore. L’uomo in bianco si allungò a raccogliere la cima e la legò all’ormeggio. Poi la stessa figura che avevano visto uscire da Palazzo Bembo sbucò dallo sportello, strinse una mano al suo esiguo comitato di benvenuto. Poche parole e i due si incamminarono rapidi verso un portale in pietra, sparendo alla vista. 
<<Ma dove siamo?>> chiese Mutti, guardando l’isola scura con una strana ammirazione. 
<<Non lo so>> disse Sauer. <<Ma lo scopriremo.>>

“Le furie di Venezia” è una storia romanzata, di fatti storici realmente accaduti durante la Seconda Guerra Mondiale, che mettono in evidenza la figura di Mussolini e il suo torbido passato. 
La narrazione si suddivide in due parti: la prima, ambientata a Venezia nel 1934 e, la seconda parte, ambientata a Milano nel 1942. 
Nella prima parte del libro, il lettore si ritroverà in Piazza San Marco per assistere al primo incontro pubblico tra Mussolini e Hitler. Piazza San Marco è piena di camicie nere, pronte ad accogliere il Duce e Hitler… Tra la folla, c’è anche l’ex soldato della Somme, l’ex commissario di polizia di Monaco, Siegfried Sauer e il suo compare Mutti, che hanno raggiunto la città di Venezia per unirsi alla resistenza antifascista. 
Siegfried Sauer è un uomo intelligente, che sul punto di morte della sua amata, le aveva fatto una promessa. Ora, Sauer è a Venezia per rispettare proprio quella promessa e, per sventare il pericolo di un’alleanza tra Italia e Germania che provocherebbe una guerra devastante. 
Sauer e i suoi compari, avevano architettato un piano per colpire Mussolini e Hitler in Piazza San Marco, servendosi delle abilità da cecchino di Sandor Baraly, amico di Sauer dai tempi della guerra. 
Ma il loro piano non può essere eseguito perchè Mussolini, da uomo astuto, si era affacciato alla folla da solo, lasciando Hitler dalla parte opposta, in un palchetto da solo. 
Ma proprio la notte di Venerdì 15 Giugno 1934, Sauer e Mutti vedono Mussolini che si dirige in gran segreto su un motoscafo nella laguna. 
Sauer e Mutti decidono di seguirlo e vedono il Duce, attraccare a un pontile buio… Mussolini viene accolto da un uomo in camice bianco, ed insieme entrano in un edificio che costeggia l’intera isola. 
Perchè il Duce si è diretto su quest’isola? 
Chi è l’uomo con il camice bianco? 
Quale è il mistero che si cela dietro quell’edificio? 

<<San Clemente. Deve essere l’isola di San Clemente.>>
<<E cosa ospita?>> […]
<<Da più di un secolo l’hanno trasformata in un manicomio.>>
<<Un manicomio.>> ripetè Mutti. 
Livio annuì. <<Un manicomio femminile.>>

Sauer e Mutti decidono di indagare e scoprono che si tratta dell’isola di San Clemente, un tempo un monastero e oggi, trasformata in un manicomio femminile.
Ed è proprio nel manicomio di San Clemente, che è rinchiusa una paziente misteriosa di nome Ida Dalser. Ida Dalser aveva conosciuto Mussolini quando era direttore del suo giornale “L’Avanti!”, prima che diventasse per gli italiani “il Duce”. Mussolini, che ai tempi non aveva nessuna notorietà e prestigio, aveva sposato Ida Dalser. 
Adesso, Ida Dalser si ritrova nel manicomio di San Clemente a rivelare ai dottori la sua storia: la storia dell’amore tra lei e Mussolini, ma anche la storia dell’erede illegittimo, Benito Albino Dalser. 
Chi è veramente Ida Dalser? 
E’ veramente, la prima e unica legittima moglie di Mussolini, come raccontava lei? 

<<E quando avete scoperto la parentela tra Bernardi e…>>
<< …e Mussolini? Ah, giusto il tempo di aprire bocca e ci informò lui stesso. Lo diceva a tutti, conoscenti o sconosciuti, amici o nemici. Era il suo argomento preferito. Il figlio del Duce! L’erede defraudato! Intratteneva le tavolare con la sua vita sventurata, il collegio infernale, il tutore malvagio…>>
Sauer si stupì della notizia. <<Vuole dire che andava in giro a raccontarlo?>> 
<<Sì, sì. Raccontava tutto. Sua madre era stata la prima moglie di Mussolini. Lui era nato prima del primogenito ufficiale. Avevano messo lei in manicomio e rapito lui. Bernardi il cognome, gli veniva da un tirapiedi del gran capo. Se l’era preso in casa da bambino e l’aveva avviato alla carriera militare per toglierlo di torno.>>

E’ così che la narrazione si sposta a Milano nel 1942, nel Manicomio di Mombello. Il lettore conoscerà la “nuova” voce narrante, un uomo di nome Fausto Armeni, che ha dovuto far rinchiudere sua moglie nel Manicomio di Mombello. 
Ma è proprio grazie a Fausto Armeni, che Sauer e Mutti scopriranno che al Manicomio di Mombello, risiede un paziente speciale, l’erede illegittimo del Duce: Benito Albino Dalser. 
Riusciranno ad entrare in contatto con Albino? 
Che cosa scopriranno Sauer e Mutti? 

Eppure è accaduto.
Eppure è accaduto.
Ecco allora le mie ultime parole .
Tutto questo è successo davvero.
Non lasciate che succeda di nuovo.
Non lasciate che sia dimenticato.

Lo scrittore Fabiano Massimi, dopo il successo ottenuto con “L’angelo di Monaco” (Longanesi, 2020), “I demoni di Berlino” (Longanesi, 2021) e “Se esiste un perdono” (Longanesi, 2023), pubblica “Le furie di Venezia” concentrandosi sulla figura poco conosciuta di Ida Dalser, la prima moglie di Benito Mussolini. 
Mussolini ai tempi, ha cercato con ogni mezzo di nascondere la verità, facendo rinchiudere Ida Dalser e, allontanando, nascondendo suo figlio, dato che si era risposato con una donna di nome Rachele, che le aveva dato un erede. Mussolini non poteva permettere di compromettere la sua immagine pubblica agli occhi degli italiani, ovvero un uomo bugiardo, egoista e cattivo, che si era risposato, ripudiando Ida Dalser e suo figlio. 
I temi trattati sono il fascismo, il nazismo, la propaganda del Regime fascista, l’alleanza tra Italia-Germania, il manicomio e le terribili condizioni, “terapie” utilizzate, gli interessi personali, la verità, i figli e l’amore. 
Lo stile di scrittura è scorrevole, piacevole, coinvolgente, emozionante e pieno di segreti, misteri da risolvere, insieme ai protagonisti. 
Il lettore si ritroverà immerso nella storia, grazie a una narrazione coinvolgente e piena di suspence, di misteri su questioni poco conosciute, che spingerà il lettore a domandarsi: davvero, Mussolini aveva sposato Ida Dalser? Davvero, Albino era suo figlio? 
I personaggi sono strutturati bene, grazie alla bravura dello scrittore Fabiano Massimi di descrivere i personaggi sia dal punto di vista fisico, sia psicologico. 
Consiglio questo libro a tutte/i coloro che desiderano leggere non il solito romanzo ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale, vi ritroverete intrappolati nella storia ambientata tra Venezia e Milano, alla scoperta di Ida Dalser e del passato oscuro di Mussolini. Consiglio questo libro anche a tutte/i coloro che desiderano leggere un libro originale, coinvolgente che racconta episodi storici realmente accaduti e poco noti, durante il periodo del fascismo. 
E voi conoscevate la storia di Ida Dalser? 
Avete letto i libri precedenti di Fabiano Massimi? 
Fatemelo sapere nei commenti, 
Buona lettura 📚📚!!

“Il cognome delle donne” di Aurora Tamigio

Titolo: Il cognome delle donne 
Autore: Aurora Tamigio 
Casa Editrice: Feltrinelli 
Collana: I narratori 
Data uscita: 4 Luglio 2023 
Pagine: 416 
Genere: Romanzo contemporaneo 
Acquista: https://www.ibs.it/cognome-delle-donne-libro-aurora-tamigio/e/9788807035609

“Il cognome tuo te lo tieni?”
“Il cognome mio?”
Lavinia annuisce. “Adesso la legge dice che te lo puoi tenere se vuoi, lo aggiungi a quello di tuo marito. […]
“Lo sapete, vero, che il cognome delle donne è una cosa che non esiste. Portiamo sempre quello di un altro maschio.”
“Vabbè, ma una può dire: da qui in poi il cognome è quello mio e di nessun altro.” A Lavinia questa cosa la infervora tutta: proprio lei che Maraviglia non lo è stata mai un giorno. 
“Comincia tu a tenerti il tuo, e poi si vede.”

Il libro è ambientato all’inizio del Novecento fino agli anni ’80, in Sicilia. Le protagoniste del libro sono le donne della famiglia Maraviglia: Rosa, Selma, Patrizia, Lavinia e Marinella. 
La storia inizia con Rosa, una donna con un carattere molto forte, che riesce a combattere e superare ogni cosa, anche le malattie. Rosa aveva imparato alcuni rimedi naturali per curare i malanni, grazie a una donna che si copriva il volto con un velo nero, conosciuta da tutti come “la Medica”, per riuscire a guarire tutto il paese con i suoi rimedi. 
Rosa aveva capito che agli uomini era permesso tutto, mentre lei (a differenza dei suoi fratelli), veniva presa a cinghiate dal padre. Ma nel 1925 la vita di Rosa cambia, grazie all’incontro con Sebastiano Quaranta, un uomo cresciuto senza la madre e che non avrebbe mai picchiato una donna o le sue figlie. E’ così che Rosa e Sebastiano si sposano e poco dopo, nasceranno i loro figli Fernando, Donato e Selma. Mentre Fernando non ha nessuna intenzione di sposarsi, Donato decide di diventare prete e Selma, grazie alle sue mani piccole e delicate, dedicherà tutta la sua vita a ricamare. 
Un giorno, Selma incontra Santi Maraviglia, soprannominato da tutto il paese “Santidivetro”, per la  sua pelle diafana. Il ragazzo capisce che Selma è una ragazza semplice, con un carattere paziente e decide di sposarla. A Selma non erano mai interessati i ragazzi, ma Santi Maraviglia riusciva ad incantare, ammaliare tutte le ragazzine e donne del paese, Selma compresa. 
Selma decide di sposare Santi Maraviglia, anche se sua madre Rosa si dimostra contraria a questo matrimonio. Dall’unione con Selma e Santi, nascono tre bellissime figlie: Patrizia, Lavinia e Marinella. 
Patrizia è la sorella maggiore, oltre a essere la più combattiva mentre, Lavinia ha un legame molto speciale con la nonna, “la mamaranna” Rosa e Marinella, è la figlia preferita del padre. 

Rosa ha sempre pensato alle sue figlie, mettendo da parte nel corso degli anni, una piccola eredità, che le avrebbe aiutate in casi di necessità. Ma Santi Maraviglia è il capofamiglia e può usufruire tutti i beni della moglie Selma. 
E’ proprio così che iniziano i guai e l’eredità custodita con cura da Rosa, viene sottratta e il futuro delle donne della famiglia Maraviglia si rivela un vero mistero. 
Che cosa accadrà alle donne della famiglia Maraviglia? 

La scrittrice Aurora Tamigio esordisce con “Il cognome delle donne”, una saga familiare che racconta la forza delle donne. Ogni donna della famiglia Maraviglia si ritrova a dover combattere, a dover faticare per cercare di farsi spazio nel mondo maschile. 
I temi trattati sono il fascismo, la società, la guerra, il rapporto genitori/figli, le differenze tra uomini e donne, l’amore e la forza e il coraggio delle donne. 
Lo stile di scrittura è scorrevole, fluido, è una lettura piacevole con personaggi indimenticabili, che entrano sin da subito nel cuore del lettore. Ogni donna della famiglia Maraviglia farà divertire, piangere, sognare e incantare il lettore. 
Le protagoniste sono strutturare bene, con ampie descrizioni semplici, dirette e chiare. 
Consiglio questo libro a tutte/i coloro che amano le saghe familiari, ma anche a chi desidera tornare indietro nel tempo, per conoscere le condizioni di tutte le donne nel Novecento in Sicilia. 
Buona lettura 📚!!

“La donna che salvò la bellezza. Storia di Fernanda Wittgens” di Sara Rattaro

Titolo: La donna che salvò la bellezza. Storia di Fernanda Wittgens 
Autore: Sara Rattaro
Illustratore: Carla Manea
Editore: Mondadori
Collana: Contemporanea 
Data uscita: 24 Ottobre 2023 
Età di lettura: da 11 anni 
Genere: Romanzo per ragazzi
Acquista: https://www.ibs.it/donna-che-salvo-bellezza-storia-libro-sara-rattaro/e/9788804782575?lgw_code=1122-B9788804782575&gclid=Cj0KCQjwtJKqBhCaARIsAN_yS_l1csF_fut4Gnc-yXxdHRDEjdtNWFtR2RHhPjSWpR22Iv-g8UIMAKwaArqgEALw_wcB

Li avevo guardati tutti i miei quadri, ed ero rimasta lì, in piedi e immobile, finché le prime luci dell’alba non iniziarono a calmarmi. Sapevo che quello era solo l’inizio e che la guerra sarebbe stata lunga ma io non mi sarei arresa. 
Fu in quel momento che decisi che non avrei permesso alla stupidità e alla cattiveria di certi uomini di distruggere tutta la bellezza che quelle meravigliose opere d’arte, come la Cena in Emmaus del Caravaggio o il Cristo alla colonna del Bramante, sapevano esprimere. 

Il libro racconta la storia di Fernanda Wittgens, la prima direttrice donna della Pinacoteca di Brera durante il periodo del nazifascismo.
Oltre alla storia di Fernanda, il lettore incontrerà due protagonisti molto importanti: Rachele e Vittorio. Rachele è una ragazzina ebrea, che con la promulgazione delle Leggi razziali del 1939, è costretta a cambiare tutta la sua vita. Rachele non può più andare a scuola, molti amici si allontanano da lei, perché ebrea e considerata “diversa”. 
Ogni giorno dovrà affrontare la paura, il terrore e la fame, causati dalla guerra.
Un giorno, Rachele incontra un ragazzo di nome Vittorio, che le darà il coraggio e la forza per affrontare la situazione.
Vittorio è un ragazzino di quindici anni, suo padre è un fascista molto violento, che pretende lavori alla Pinacoteca di Brera, insieme a Fernanda Wittgens. Fernanda amava l’arte e la bellezza sin da bambina, grazie a suo papà che ogni domenica la portava al museo. 

La bellezza me l’ha mostrata, per primo, mio padre. Lo faceva ogni domenica quando ci trascinava tutti in un museo. […]
<<La bellezza è il nutrimento dell’anima>> ci disse. 
<<Che cosa vuol dire papà?>> risposi io osservando l’immagine di un uomo sdraiato che sembrava stesse dormendo. […]
Io rimasi lì, immobile a fissare quell’immagine perché non riuscivo a staccarmi. Fu mio fratello a trascinarmi via, altrimenti, mi disse, sarei rimasta lì per sempre.
E in un certo senso è stato così.

Fernanda è riuscita a fare della sua passione, il suo lavoro, diventando la prima direttrice donna della Pinacoteca di Brera. Da vera appassionata della bellezza, decide di salvare dai bombardamenti tutte le opere d’arte conservate nei musei milanesi, grazie all’aiuto di Vittorio. 
Insieme a Vittorio riusciranno a salvare molti quadri, ma anche amici, conoscenti e familiari ebrei, costretti a scappare per salvarsi la vita. 
Fernanda è una donna molto coraggiosa, che non ha paura dei fascisti, ed è pronta a rischiare la propria vita per cercare di salvare la bellezza dei quadri e degli esseri umani. 

Prima di incontrare Fernanda avevo le idee confuse. E’ stata lei a mostrarmi una via possibile. Poteva chiudersi nel castello dorato dei suoi privilegi e invece si annoda i capelli come può e sale su un camion scomodo, solo per tentare di salvare tutta la bellezza di questo mondo, perché ha capito che anche gli esseri umani sono delle opere d’arte! 

La scrittrice Sara Rattaro con “La donna che salvò la bellezza. Storia di Fernanda Wittgens”, racconta la storia di questa donna, che con coraggio, forza e determinazione ha sfidato il nazifascismo per salvare vite umane e opere d’arte. E’ grazie a lei, se oggi possiamo ammirare la bellezza di molti quadri. 
Il lettore imparerà a conoscere la storia di Fernanda, durante un periodo storico molto difficile, che ha evidenziato la cattiveria degli esseri umani. 
I temi trattati sono la guerra, le discriminazioni, la cattiveria, la povertà, il coraggio, la fame, il nazifascismo e le sue leggi disumane e le opere d’arte in tutta la loro bellezza e unicità.
Lo stile di scrittura è scorrevole, piacevole, intenso, appassionante e commuovente; il lettore riuscirà a percepire tutte le difficoltà dei personaggi. 
I personaggi sono strutturati bene, grazie alle abilità della scrittrice Sara Rattaro di riuscire a descriverli nei minimi dettagli, ma soprattutto di far entrare in empatia il lettore con ognuno di loro. 
Consiglio questo libro a tutte/i i ragazzi, ma anche agli adulti perché è un romanzo adatto a tutti. Consiglio questo libro a tutte/i coloro che vogliono conoscere la storia di una donna coraggiosa, ma anche a tutti gli appassionati d’arte e di storia. 
Ringrazio la casa editrice Mondadori, per avermi inviato la copia cartacea del libro, che mi ha permesso di rivivere il periodo del nazifascismo e di ripercorrere la storia di Fernanda. 
Un ringraziamento speciale va alla scrittrice Sara Rattaro, per aver creduto in me e avermi trasmesso la sua passione per la scrittura all’Università. Grazie a questo libro ho rivissuto le ingiustizie e le discriminazioni che hanno subito gli ebrei, ma ho anche imparato che in ogni essere umano è racchiusa la bellezza, proprio come ogni opera d’arte. 
E voi conoscete la storia di Fernanda Wittgens? 
Fatemelo sapere nei commenti!!
Buona lettura 📚📚!!